I riquadri del portone del Maschio Angioino: la ribellione dei Baroni contro Ferrante d’Aragona
a cura di Elio Notarbartolo
Una costante nel tempo del comportamento di una certa classe dirigente delle nostre parti è stata sentirsi solo leggermente legata alle strutture dello Stato che, invece, dovrebbero rappresentare e sentirsi in diritto di cambiare campo per cercarsi un padrone più generoso.
Tutti sanno come finì l’orgoglioso esercito di Manfredi a Benevento: i baroni napoletani tardarono all’appuntamento al confluvio del fiume Sebeto con il fiume Calore, e, quando comparvero, erano a fianco dell’esercito di Carlo D’Angiò e, da Ghibellini, si erano trasformati in Guelfi.
Anche la fine di Corradino di Svevia fu legata ad un fatto simile: il feudatario, da sempre fedele all’Imperatore Federico di Svevia, e poi di Manfredi, fiutando la disgrazia degli Svevi e del partito ghibellino, preferì passare alla Storia come colui che contribuisce all’estinzione degli Svevi, consegnando Corradino ai feroci D’Angiò.
Storie che si ripetono nel tempo sempre uguali: la famiglia Sanseverino non riesce ad accordarsi completamente con l’aristocrazia angioina, si dichiara autonoma da Carlo D’Angiò senza riuscire a fermare una coalizione capace di tenne testa a Carlo D’Angiò e deve rifugiarsi prima a Salerno, poi in esilio. Solo Giovanni da Procida, fuggendo dal suo feudo, fu tanto pertinace nel suo odio verso gli Angiò da girare per tutte le sponde del Mediterraneo e oltre per creare quella coalizione che portò ai Vespri Siciliani e alla mutilazione dei possedimenti angioini dell’intera Sicilia.
Fu quel seme voluto da Giovanni da Procida duecento anni prima che portò alla completa disfatta degli Angiò e alla conquista di Napoli dal magnifico Alfonso D’Aragona.
Nonostante la magnificenza del regno di Alfonso, pure l’aristocrazia napoletana cercò di sovvertire il potere aragonese non appena, morto Alfonso, questo potere si trovò in condizioni di difficoltà. Ma anche questa volta i baroni napoletani ebbero la capacità di portare a termine il loro disegno di cambiare padrone.
Ferrante, il figlio di Alfonso D'Aragona, ha voluto raccontare questo episodio noto come “ la rivolta dei baroni” e incaricò lo scultore francese Gugliemo Monaco di cesellare le porte bronzee del Maschio Angioino von sei riquadri cesellati a memoria di questa storia.
Baroni ribelli volevano far tornare Napoli sotto il potere di Giovanni D’Angiò che vantava diritti ereditari di successione dal testamento di Giovanna II, ma la loro storia finì nella città di Troia di Puglia.
I baroni erano traditori nono solo politicamente, ma traditori e infidi di bassa lega tanto da tentarne un agguato al buon Ferrante. Chiesero a Ferrante di trattare una pace onorevole e proposero un incontro alla Torricella, presso Teano. Era il 29 maggio 1460, e il giovane re Aragonese, scortato da Gregorio Coreglio e fa Giovanni Ventimiglia va a incontrare il cognato Martino Marziano, duca di Svevia, ma dei capi ribelli.
Il primo riquadro superiore della porta bronzea riporta Ferrante a cavallo che discute con il cognato, capo della rivolta dei Baroni.
Il secondo riquadro riporta Ferrante di spalle che si difende dall’improvviso attacco dei suoi nemici. Nei due riquadri inferiori sono riportate scene della battaglia di Accadia: il primo racconta la battaglia in atto con, sullo sfondo, la collina dei baroni ribelli verso Troia.
I riquadri al centro della porta del Castello riportano, infine, la battaglia di Troia.
Il primo riporta lo scontro armato sulle rive del fiume Scamandro che scende tortuosamente dalla collina di Troia. Sulla sua destra si scorge l’esercito ribelle in rotta con, in testa, i condottieri Giovanni D’Angiò e Jacopo Piccinino con i capitani Giovanni e Gaspare Cossa, mentre sulla riva sinistra gli Aragonesi assistono all’umiliante ritirata dei nemici.
Nel riquadro centrale di destra, si vede l’avanguardia aragonese che entra nella cittadina in alto sulla collina, seguita dalle truppe con Ferrante in testa che porta lo scettro e la corona.
Bene, ora che abbiamo fatto scendere questa storia dai polverosi scaffali delle biblioteche, qualcuno di voi potrebbe trasformarsi in un cantastorie sotto il Maschio Angioino e raccontare una delle tante storie di Napoli, aggiungendogli un po’ di meraviglia, un po’ d’incanto, e tanto amore per Napoli.