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Procida: Il “San Michele” di Terra Murata


a cura di Sergio Zazzera

Nel 1699 il Pontefice Innocenzo XII Pignatelli donò all’Abbazia di Procida una tela, siglata “L.G.”, raffigurante San Michele Arcangelo che sconfigge Satana; e, per lungo tempo, storici e scrittori furono concordi nell’interpretare quella sigla come proveniente da Luca Giordano. Il primo a offrirne tale lettura fu Michele Parascandola, al cui seguito si posero tutti gli altri.

Nel 1994, però, Salvatore Di Liello, Maria Barba e Pasquale Rossi pubblicarono la notizia del rinvenimento della fede di credito del pagamento del prezzo di tale opera a Luigi Garzi, pittore romano che ha operato anche a Napoli, affrescandovi, fra l’altro, la chiesa rinascimentale di Santa Caterina a Formiello.

Ora, che la storia dell’arte sia fatta tanto d’individuazione di elementi stilistici, quanto (e direi soprattutto) di documenti, è un dato indiscutibile. Sta di fatto però che, anche dopo la pubblicazione del documento sopra ricordato, tanti “homines unius libri” hanno continuato ad attribuire la paternità del dipinto a Luca Giordano. Probabilmente, essi avranno argomentato che, poiché la tela dell’Apparizione dell’Arcangelo, collocata nell’abside, fu dipinta da Nicola Russo, che del Giordano era allievo, nulla avrebbe impedito che la chiesa avesse accolto anche un’opera del maestro: ma è evidente che un’argomento del genere sarebbe del tutto privo di quella connotazione di biunivocità, che costituisce uno dei fondamenti della logica.

Peraltro, chi volesse farsi un’idea di come il “Fa presto” avrebbe dipinto l’Arcangelo, non ha che da recarsi nella chiesa napoletana dell’Ascensione a Chiaja e ammirare la tela che ne sovrasta l’altare maggiore. D’altronde, poi, il Garzi era artista di tutto rispetto, e riconoscergli la paternità della tela procidana non sminuirebbe affatto il valore della stessa. Negargliela, viceversa, integra quel falso linguaggio, in cui consiste il mito


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