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“Lo cunto de li cunti" ovvero il trattenimiento de peccerille


a cura di Vincenzo Caratozzolo

Il Boccaccio napoletano, l’interprete più efficace della cultura barocca che è da sempre mondo di fiabe, Giovanbattista Basile è il vero capostipite del genere europeo del racconto fiabesco moderno, collocandosi nel vivo di un dibattito intellettuale che promosse l’uso letterario del dialetto napoletano. Croce afferma che è il primo e più grande di tutti i racconti, come il “Cantico dei cantici “ed il “Re dei Re". L’opera è una raccolta di cinquanta fiabe in vernacolo napoletano raccontate da dieci novellatrici in cinque giorni (perciò detta anche il Pentamerone ) e dedicata alla napoletana Accademia degli Oziosi. Il libro fu pubblicato postumo nel 1637 a cura della amata sorella Adriana ed ebbe immediatamente notevole diffusione . Esso fu avidamente letto e tradotto in più lingue in Europa e si prestò nei secoli ad adattamenti, rifacimenti e plagi da parte di vari scrittori quali i fratelli Gozzi, Perrault, Wieland, Treck, i fratelli Grimm, Walt Disney ecc., fino a Roberto de Simone, essendo l’opera considerata uno dei più grandi monumenti della cultura e dell’affascinante fantasia del popolo napoletano . Alcune storie e soprattutto il loro modello di racconto hanno reso il “Cunto“ il testo italiano di fatto più letto nel mondo, anche se riconoscibile con difficoltà nei suoi tanti rifacimenti e traduzioni. Le vicende di Cenerentola, del gatto sapiente, della fanciulla addormentata nel bosco , dei bambini sperduti nel bosco dalla matrigna cattiva sono state per quasi quattrocento anni materie per un incredibile serie di riattamenti e riproduzioni fino ad essere imprescindibile elemento di cultura mediale. Le idee dominanti di questi racconti sono il viaggio, la metamorfosi, il cambiamento di status, e proprio quest’ultimo costituisce nucleo centrale dell’ ideologia del cunto (soggetti fiabeschi passano dalla bruttezza alla bellezza ,dalla solitudine al matrimonio , dalla povertà alla ricchezza ma cadono anche nel dolore e nella morte ). E’ quasi come voler dare una speranza di riscatto in una società fatta di cristallizzazione del “censo”. Il “cunto è un’opera di grande importanza sociale, sospeso tra la disperazione per il “secolo tristo“ e l’affannosa speranza di mutamento . Sintesi, tra le tante, di questo stregonesco miscuglio, di questo grande potere incantatorio, è la meno nota “la vecchia scorticata “ (cunto 1.10 ).

Una vecchia desidera cambiar vita e status. Sua sorella, ancor più anziana di lei, fa un viaggio straordinario fino al letto del Re che si è invaghito d’un suo dito appena intravisto “…venuta la notte che aveva come la seppia gettato il nero , la vecchia tiratesi tutte le grinze della persona e fattene un nodo dietro le spalle legato stretto con un capo di spago ,se ne venne al buio dentro la camera del re e si schiaffò dentro il suo letto….” . Il re, appena ne scopre la laidezza, la getta dalla finestra ma la vecchia rimane impigliata nel ramo di un fico. Passano le fate che non hanno mai riso e vedendola scoppiano a ridere ; poi ,per ringraziarla, le donano gioventù e bellezza “…le diedero ognuna la sua fatagione …”. Ora è bellissima ed il re la sposa . La sorella chiede con insistenza come sia stata possibile la metamorfosi e la vecchia ringiovanita, tutelando il segreto, le riferisce che si è fatta scorticare da un barbiere. La poverina, a caro prezzo, fa altrettanto ma muore. Il sipario è grottesco; c’è un avvicendarsi di giorno e notte , di luce e buio e Calvino individua nel “cunto” lo stesso crudele realismo barocco delle tele del Caravaggio; il Basile infatti attinge alla poetica seicentesca il gusto per il bizzarro, l’ingegnoso, l’immenso patrimonio della cultura popolare, portando alla luce un linguaggio rivoluzionario, dalla grandi risorse fino ad allora rimaste quasi inutilizzate, dove la crudele verità viene traviata da paradossali e fantasiose costruzioni. A Napoli, solo nella seconda metà dell’800 (Imbriani, Croce ), ci fu un recupero critico di questo straordinario letterato , ma l’interesse culturale per il Basile si riaccende nei nostri anni ’60 con interventi editoriali (Laterza , Benincasa ecc.) che reintrodussero il lettore nel fantastico laboratorio compositivo dell’opera. Purtroppo Napoli tende a dimenticare i suoi figli più grandi. Recuperiamo allora la memoria di questo grande della letteratura fiabesca! Il Basile, con la sua prosa genialmente eteroclita, piena di immaginazione e metafore ed ispirata a vitale gioia verbale, ci ha tramandato un capolavoro in cui domina il capriccio della magia che muta condizioni e fortune e gode nel privilegiare chi più passivamente si affida ad essa ,a testimoniare l’instabilità di un mondo ormai preda dell’arbitrio, di un mondo che ci offre solo immagini di traviamento di ogni etica, di ogni norma: chissà se le sue fiabe possano costituire un monito anche per le attuali generazioni?


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